Publication information

Source:
Cronaca Sovversiva
Source type: newspaper
Document type: article
Document title: “29 Ottobre 1901”
Author(s): Galleani, Luigi
City of publication: Barre, Vermont
Date of publication: 2 November 1907
Volume number: 5
Issue number: 44
Pagination: 1

 
Citation
Galleani, Luigi. “29 Ottobre 1901.” Cronaca Sovversiva 2 Nov. 1907 v5n44: p. 1.
 
Transcription
full text
 
Keywords
McKinley assassination (personal response: anarchists); Leon Czolgosz; Leon Czolgosz (execution); Leon Czolgosz (last words).
 
Named persons
Leon Czolgosz [variant spelling below]; David; Hyacinth Fudzinski [variant spelling below]; Goliath; William McKinley; Walter N. Thayer.
 
Notes
The text below is reproduced as given in the original source. Language errors (if any) are likewise reproduced.

Authorship of this article is credited to G. Pimpino, a pseudonym of Luigi Galleani. A facsimile of Pimpino’s signature appears at the end of the article.

The article is accompanied on the same page with a photograph of Czolgosz.
 
Document


29 Ottobre 1901

Il 6 Settembre 1901 all’esposizione Pan Americana di Buffalo, Leone Czolgoz, un operaio poco più che ventenne attentava alla vita del ventiquattresimo Presidente della Repubblica, William Mc Kinley [sic], che in seguito alle ferite riportate spirava in Buffalo una settimana di poi.
     Leone Czolgoz, che era un cittadino americano, aveva militato nel partito socialista alle cui organizzazioni era rimasto inscritto fino a poche settimane avanti l’attentato. La sua natura esuberante, l’impetuoso bisogno d’agire onde vibrava ogni sua energia, lo spirito di rivolta che irritavano la miseria squallida e le angustie dolorose in cui gemevano i suoi vecchi, i suoi fratelli, la sterminata famiglia dei suoi compagni di lavoro, non avevano trovato nelle accademie mansuete di parolai e di arrivisti, nelle palestre di ambizioni miserabili e di loschi opportunismi, nei focolari d’intrighi, di calcoli, di mercimoni che sono—in America peggio che altrove—le organizzazioni del partito socialista, il campo irrequieto che egli aveva sognato alle aspre e luminose battaglie della redenzione.
     E ne era esulato deluso, stanco, amareggiato.
     Aveva accostato in Chicago qualche anarchico e gli aveva confidato le sue delusioni, l’amarezza infinita ond’era pervaso, l’urgente bisogno d’agire, di dare un esempio, d’additare una via ond’era agitato, e. . . . non aveva raccolto che più amare delusioni: il suo impeto, la sua febbre d’azione, il suo fervore entusiasta non gli avevano intorno suscitato che diffidenza, sospetto, isolamcnto [sic].
     Riprese il suo triste pellegrinaggio di paria in cerca di lavoro, in cerca di pane, ed era capitato a Buffalo ove l’Esposizione Pan Americana, allora nel suo meriggio fulgente, sorrideva ai senza lavoro come una terra promessa.
     Era capitato a Buffalo proprio nei giorni in cui il Presidente della Repubblica era venuto a solennizzare i trionfi miracolosi dell’industria nazionale, a celebrare la prosperità fantastica della nazione benedetta da dio di un’incrollabile fortuna.
     Quell’uomo dalla figura adunca di pubblicano antico, dallo sguardo verde e grifagno, dalla parola fredda, insolente, minacciosa come una lama, Leone Czolgoz lo conosceva.
     Le valli fiorite della Pensilvania, le gole profonde dell’Idaho avevano un giorno, non remoto nella memoria, echeggiato di un’unanime preghiera piena di pianti, di spasimi, di singhiozzi. Erano poveri minatori che alla sotterranea fatica invocavano per sè, pei figli, per le deserte compagne un po’ più di riposo, un po’ più di pane, un po’ più di pietà. Il silenzio sdegnoso con cui alle loro preci si era risposto avevano essi rotto coll’imprecazione dapprima, colla torva dispe rata [sic] minaccia di poi, e la paura stava per curvare alla resa gli epuloni quando le preci, le imprecazioni, le minaccie soffocò in un rantolo disperato il crepitìo secco della mitraglia.
     In soccorso degli affamatori era venuto McKinley l’uomo che ora parlava di gloria, di pace, di prosperità.
     La conosceva egli, il paria adolescente, la prosperità del paese. . . .
     L’aver vista erigersi opima sotto le sue mani industri, l’aver vista erompere fiorente dal lavoro impervio dei suoi compagni di fatica, ne riconosceva maglia a maglia tutto il tragico ordito. S’era, filo a filo, tramata della miseria di tutti che le ultime imprese militari avevano inasprita, e tra i fili della trama luccivano come rubini stille di sangue, luccicavano come perle stille di pianto, sangue e lacrime dei paria anchilosati per le miniere, anemizzati per gli ergastoli, inariditi al rovaio su pei solchi, su per galere della grande repubblica benedetta da dio.
     La prosperità che il sacerdote grifagno della patria matrigna celebrava tra i vermigli trofei delle costellate bandiere della repubblica era il frutto di secolari rapine, di frodi sapienti, di rinnunzie disumane, di prostituzioni senza nome. Egli il sacerdote grifagno della patria matrigna quelle frodi aveva organizzate, alimentate, protette, diffuse, suggellando tra gli smarriti occhi dei vinti il marchio di una nuova e più orrenda schiavitù, curvando le loro cervici sotto il triplice giogo scellerato della miseria, dell’abbrutimento, della vergogna. Il suo inno alla frode vittoriosa ed impunitaria era tutto un peana d’irrisione agli umili, ai caduti, ai diseredati; e, briachi d’incoscienza e di stupido orgoglio, agitando le loro catene e la loro vergogna, questi applaudivano.
     Ruppe l’incanto. . . . . .
     Coloro che sulle sventure e sulle stragi della povera gente coniano la fortuna, che le lacrime e la pietà rintascano in omaggio ai dividendi, sull’idolo infranto versarono torrenti di lacrime e di rimpianti inconsolabilmente sinceri: non avevano trovato mai strumento più poderoso e più docile ai loro capricci, ai loro calcoli ed alle loro avventure, e mai la stagione era corsa più propizia alle audacie del capitalismo americano come sotto il consolato di William McKinley. Così sul capo del reprobo adolescente che della sua giustizia vendicatrice l’aveva atterrato d’un soffio si riversò l’onda selvaggia ed inesorabile delle più roventi maledizioni.
     Non piegò sotto la raffica il bellissimo efebo: impavido e sereno come il biblico Davide in conspetto dell’immenso Golia, Leone Czolgoz “senza battere ciglio nè piegar sua costa”, sostenne l’uragano delle ire di classe al parossismo. Lo attanagliarono nelle carni e nel cervello, lo torturarono con raffinatezza feroce nei sentimenti e negli affettì più cari, ne martoriarono i vecchi cadenti, ne perseguitarono con giudaica inesorabilità i fratelli: non pianse, non si mortificò, non si pentì. Ripudiò l’assistenza ed il braccio di padre Fudzinsky che doveva confortarne le ultime ore e. . . . profittare delle sperate debolezze del momento estremo, ed al fratello venuto a dargli l’ultimo abbraccio il 28 Ottobre 1901, ripeteva: “muoio tranquillo, la morte non mi fa paura, essa viene tosto o tardi per tutti: ma tu devi dire al popolo americano che io non ho sollecitato mai l’assistenza religiosa, che l’ho costantemente, pertinacemente rifiutata; la nostra famiglia è cattolica, ma dal 1893 io sono ateo, e non ho oggi alcuna ragione per mutare le mie convinzioni”.
     Il 29 Ottobre 1901 alle 7,12 antimeridiane condotto nella sala delle delle [sic] esecuzioni marciò solo, diritto, impavido al supplizio squillando in volto ai giudici, ai preti, al boia, alla ventina di borghesi convenuti a gioire del suo strazio, le memorande parole : “Ho giustiziato il presidente McKinley perchè egli era il più implacabile nemico dei lavoratori, non sono menomamente pentito del mio atto. Ho in questo momento un unico rimpianto, quello di non aver potuto abbracciare un’ultima volta mio padre”.
     Thayer, il boia, l’assicurò sulla sedia e tre scariche di mille e settecento volts succedutesi a qualche secondo l’una dall’atra l’irrigidirono alle 7,15 precise.
     E noi, pur nemici decisi di ogni religione, di ogni idolatria, ricordando ai combattenti della buona battaglia l’umile pioniere poco più che ventenne non possiamo di fronte alla sua eroica fermezza trattenere il sentimento, molto umano del resto, della nostra profonda ammirazione.
     In quell’ adolescente quadrilustre era più carattere, più energia, più coscienza che non siano di consueto in molti uomini e magari in molti superuomini orgogliosi e vani.